Who's afraid of P.C.?

Dello stesso autore esistevano anche pamphlet contro Foxi, Tolu e Truzzu che non trovo più.

CAFETA'
Via San Benedetto 84/86 (all'interno di Primafila)
Sabato 7 maggio


l'ennesimo ripetitivo F&D dj set
jazz funk soul afro bossa latin etc etc.

Visto che sull'insegna c'è scritto caffè letterario...
Da qualche settimana non si parla d'altro. Per alcuni è il nuovo enfant prodige della scena letteraria cagliaritana. Per altri (Truzzu ndr) uno scribacchino da quattro soldi che si limita a scopiazzare dal libro delle citazioni. Ma sul suo rancoroso giudizio pesa sicuramente il fatto che sia più magro di lui (come chiunque altro d'altronde a parte, forse, Alias).
Altri ancora come Zasso non capiscono bene quello che scrive perchè ci sono troppe parole difficili e lui non riesce ad impararne più di una al mese. Maggio, per esempio, si è aperto all'insegna dell'aggettivo "settario". Durante l'ultima edizione di "Griglie aperte", annuale ritrovo radical-giornalist-chic nella sobria residenza di campagna di DJ Foxi, Zasso ne ha fatto ampio e disinvolto uso: l'articolo del GdS sui gaggi alla fiera? "Settario", il porchetto? "Buono...ma un pò settario", il vino rosso di proprietà che accompagnava le pietanze? "Corposo dal retrogusto settario" e così via.
D'altra parte cosa ci si può aspettare da un uomo che nei suoi articoli si è inventato la metafora "...un ritiro tutto sudore e Sparta..." e ha iniziato un romanzo dal titolo provvisorio "Le ragazze di Cagliari quelle che credono di avercela solo loro" (c'è chi pagherebbe qualunque cifra per mettere le mani sulle bozze, me compreso).
Ma torniamo senza divagare alla nostra eclatante scoperta, a quasi un anno di distanza dal concorso "se lo scrivevi magari vincevi".
Lui non si è limitato a scrivere un invito come avevamo auspicato. Si è cimentato in un progetto molto più ambizioso. Un'opera monumentale, l'affresco di un epoca, la saga di una generazione attraverso una galleria di ritratti dei protagonisti.
Poco importa che questa Oriana Fallaci di Su Planu (che non vive in un attico a Manhattan ma in un bilocale di Mulinu Becciu) ci abbia scambiati per immigrati islamici trasformandoci nei bersagli delle sue feroci invettive. La forma nel suo caso supera il contenuto, e in essa ci è parso di riconoscere del vero talento.
Volendo essere cattivi gli si potrebbe far notare che per colpirci ha scelto proprio il momento giusto: dov'era la sua vis polemica quando, star di punta del Jazzabuglio, avremmo potuto incaricare un fan anarco-insurrezionalista di incendiargli la Punto con una molotov, o quando, temutissimi dj resident della Paillote, comodamente adagiati sui divanetti dell'area vip con un semplice cenno del capo (alla Scarface-Tony Montana-Pacino, da pronunciarsi "pasino" alla Truzzu) avremmo potuto ordinare a due balordi di andare sotto casa a sbriciolargli le ginocchia a sprangate?
Troppo facile prenderci di mira adesso che ci siamo ridotti a suonare in un improbabile bar tra insalatiere di pasta fredda ai sottaceti rancidi e pupazzi di Goldrake a grandezza naturale.
Per non parlare di Foxi che, pressato dai creditori, si è dovuto abassare per pochi Euro a squallide marchette ai free drink del Baraguà aprendo le serate al fianco di un vocalist decerebrato che urlava al microfono "FEEL THE MUZIK...FEEL THE VIBEZ!".
Alla fine abbiamo deciso di non considerare il suo j'accuse un'inutile e vile dimostrazione di forza alla Costanzo contro di noi, bensì un omaggio tardivo al nostro successo di un tempo. Una rivalutazione postuma di due personaggi francamente patetici. D'altronde dopo la nostra ultima tristissima performance per farci notare non ci è rimasto che bestemmiare durante un DJ set alla stregua di una qualunque pseudo celebrità da reality show o di Nicola Belillo durante una partita di calcetto.
Su una cosa ha sicuramente ragione: ormai le nostre serate sono diventate la foglia di fico per scrivere queste quattro cazzate.

Pubblichiamo in esclusiva le prime pagine di questo cult metropolitano ancora senza titolo.

Ma prima una breve biografia dell'autore:

P.C. nasce a Roma, per puro caso, nella torrida estate del 1966.
Negli anni '80 si guadagna da vivere sbarcando il lunario come sosia di George Michael in comparsate mal pagate nelle peggiori discoteche della Costa Brava.
Negli anni '90 si dedica al bracconaggio e cattura con trappole al vischio un numero spropositato di uccellini appartenenti a varie specie in via d'estinzione.
Ma la tragedia è in agguato: una notte la sua UNO si incendia per autocombustione e i gas venefici sprigionati dal rogo soffocano gli amati volatili, sterminandoli.
Questo episodio doloroso lo fa precipitare in un baratro di disperazione che lo porta a frequentare esclusivamente la boheme cagliaritana: pittrici, registi, poeti, attori e commercialisti.
E' docente di educazione civica ed economia domestica presso un istituto professionale per minorenni ottusi e violenti in provincia di Cagliari, attività che svolge con lo stesso entusiasmo con cui ci si applica una crema antiemorroidale.
I temi ricorrenti della sua opera sono la sistematica distruzione degli ex fidanzati della sua ex fidanzata e...basta.
Fino a poco tempo ignorava che tra questi ci fosse anche Alessio Alias. Quando lo ha saputo ha tentato il suicidio (come dargli torto...).
Ha già tentato di avvelenarmi durante una cena a casa sua. Probabilmente ci proverà di nuovo.

Ed ora quello che tutti stavate aspettando (gli omissis tipo rapporto della commissione USA sull'uccisione di Calipari mi sono stati imposti dall'autore, ossessionato dall'idea di ripercussioni legali nei suoi confronti...)

CAPITOLO I

Il Luttazzi di Genneruxi (dj Daddy).


Come sempre, dopo un breve oblio concomitante con la chiusura dei bilanci aziendali, e che aveva lasciato sperare in un dignitoso ritiro dalla ribalta della (messin)scena musical-fancazzista di Cagliari, le mail indesiderate del più autoreferenziale e settario dei dj resident - o come minchia si fa chiamare lui quando "fugge se stesso in altri se stessi ancora più inquietanti" - sono tornate a infestare la nostra posta elettronica, preannunciando, tra ibridazioni fotografiche di Dijalma Santos con la testa di un avvocato e una compiaciuta-finta-autoironia, l'ennesimo tiratissimo sequel della serie "tempo che passa, identità che resta"; ovvero: l'equivalente di "Fantozzi in paradiso" per Neri Parenti. Ingredienti base di questa collaudata formula a prova di sofisticati sistemi di Autoprotect Symanthec sono quelli di uno che, quando al ginnasio ha sentito dire che tutto è già stato scritto e possiamo solo ripetere con parole nuove le solite cose, ha fatto della sua vita l'impegno a dimostrare l'assoluta verità del concetto. In pratica un clone maschile di Guia Soncini che gira e rigira ripete in ogni articolo quanto in certi giorni sia lecito a una donna sentirsi di merda.Si dirà: che male c'è? Nessuno scandalo, per carità: intento lodevole. Se ogni pretesa di originalità è illusoria a questo mondo, se il coraggio è la sola virtù che rende nobile la sconfitta, anche a dj Daddy, figura ambigua di intellettuale-servo alla Michel Piccoli, con le sue grossolanità affettive e quei compromessi inevitabili al banco dei pegni del socialmente adeguato, si deve una possibilità di riscatto. Il fatto è che dj Daddy è un vanitoso impostore: dissimula la civetteria delle sue ingiustificate ambizioni di opinionista da salotto attraverso la montatura mediatica di una sarabanda musicale per intenditori. Un po' come quei nobili decaduti alla Lillo Ruspoli, che in seconda serata parlano alla tv del loro sentirsi da sempre e soprattutto dei "contadini", nonostante l'apparire e il savoir vivre, e poi chiedono di essere ricordati nella lapide semplicemente come produttori di vino.E passi per tanto snobismo. Dj Daddy, ex enfant prodige della scuderia di commercialisti di ...omissis..., non vuole rubare il fuoco agli dei per farne dono ai cagliaritani: a lui basta fregare, che so, la puzza da sotto il naso, il latte alle ginocchia, il pelo dallo stomaco o la sveglia al collo per andare in giro a testa alta tra i suoi pari. Ma il modo in cui lo fa...Feticista impenitente, indossa i suoi finimenti da "ragazzo interrotto" e, spalleggiato da improvvisati Sancho Panza, scatena la sua identità parallela da Aldo Grasso di provincia contro gli idoli polemici di una vita: il cialtronismo alla Sordi, la beceragine alla Banfi, l'omofobia testaccina alla Mario Brega, l'insulsaggine del Ministro Gasparri; archetipi, questi, insieme ad altri tecnico-musicali (francamente irrilevanti), che segnano in modo vivido la sua retorica. Come i Veda filtrano immutati attraverso quelle eternità che sono le pause intercorrenti tra un universo e il successivo, così da rappresentare il modello immutabile di ogni nuova forma, allo stesso modo il canone di dj resident si perpetua, brand indelebile, da un "dj set" all'altro, da una "mail session" alla successiva, moltiplicandone l'immagine come in un gioco di specchi alla Billy Wilder. In ritardo di vent'anni, insieme a Walter Veltroni dj Daddy si iscrive al club degli amanti della commedia all'italiana, dove il rutto e il peto la fanno da padrone nel tentativo di esorcizzare la paura occidentale della morte...Un prodotto a basso costo fatto di spogliatoi femminili violati, di fica a triangolo isoscele come non se ne vedono più in giro, di facezie virili su "preti e grossi seni" da cricca di squadristi, figlia illegittima del peggior Fellini, e che comunque...castigat ridendo mores. Simile all'ex marine disadattato di un film di Bogdanovic, dj Daddy si nasconde sopra il sipario di un drive in e prende a sparare sugli spettatori che si sentono al sicuro, nel loro mondo piccino piccino fatto di elettrodomestici acquistati a interessi zero, di pop corn e baci lascivi consumati al riparo dei vetri della Cadillac. Come quel personaggio disturbato, dj Daddy non tollera indulgenza verso le proprie debolezze borghesi. Avvertiva don Vito Corleone: "non importa per me come un uomo si guadagna da vivere, ma la droga no, la droga è sporca, davanti alle scuole non ce la voglio". Anche per dj Daddy e così, un buon lavoro è un buon lavoro, il realismo prima di tutto. Bisogna però sempre espiarne la colpa, non andarne fieri. Da ex esperino con cabina al Lido e che al liceo ha fatto un anno negli USA, interviene col seguente duplice proposito: sfogarsi dopo una giornata pesante in studio e rieducare gli altri alla sobrietà senechiana, all'understatement dell'orologio-gadget di un farmaco per le emorroidi esibito con noncuranza in spregio del senso piccolo-borghese della decenza. Il suo motto di libero professionista felicemente sposato con una donna dall'incantevole aspetto preraffaellita, che non merita e che lo distingue da Puff Daddy, dal quale ha scopiazzato banalmente il nome d'arte, è: "nè con lo Stato nè con le Pierre". Oggetti, simboli, oggetti-simbolo: c'è in dj Daddy una suggestione quasi ipnotica, si direbbe un maleficio degli oggetti, un loro fanatico nominalismo che lo rende comunque diverso dai manichini della vetrina di Vela Shop, santuario riconosciuto del prendersi troppo sul serio (si veda, per tutti: ...omissis..., "psicopatologia dell'abbigliamento"). Trasformato dalla fata turchina in un grillo parlante anzichè in un bambino, non è però insensibile alle voci dei suoi ex compagni di avventura, che da Via Rockefeller lo riconoscono e gli gridano ammiccanti: <>. Alcuni di loro li ha riscattati a peso d'oro da Mangiafuoco Diaz - che invece, in un tentativo maldestro di applicare la Tremonti-bis senza chiedere lumi al commercialista, voleva iscriverli a Giurisprudenza - per metterli in vetrina nelle serate autocelebrative dedicate alle sue mail "taglia-e-incolla". A fare le spese della sua furia iconoclasta, protagonisti involontari delle sue salaci invettive, sono in realtà personaggi di secondo piano, figure destinate a restare sullo sfondo di ogni possibile raccontare diverso, e che acquistano, per l'alchimia della cinepresa immaginaria di dj Daddy, una vitalità insospettabile, nervosamente marionettistica. Un percorso, questo, simile a quello di Velasquez, che alla fine della sua vita non si concentrava più sulle figure in primo piano, ma su ciò che sta in mezzo alle cose definite e primarie, ai margini rispetto al soggetto, insomma.La poetica dell'anticlimax di dj Daddy non è nuova. Ma, se passiamo al microscopio della psicanalisi i vetrini della commedia umana rappresentata da questo Chiambretti senza sorriso, facciamo la seguente sbalorditiva scoperta: esiste identità tra i tropi dell'ordito djdaddyiano e le paure che lui tiene sotto controllo mettendole all'indice nel prossimo.Vediamo allora in rassegna questi characters pirandelliani, funzionali agli intenti didascalici di dj Daddy quanto il balletto dei pinguini alla comprensione del gusto anglosassone per la campagna nel film Mary Poppins. Ovviamente, anche per ragioni legali, parleremo di loro non per come sono, giacché alcuni nemmeno li conosciamo, ma per come vengono fuori dal vivace tratto del moralista-flagellatore dj Daddy. Dj Foxi innanzitutto.

(continua...)



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